Cinema

Nebraska

Nebraska

L’ anziano e testardo Woody è convinto di aver ricevuto un grosso colpo di fortuna: una lettera infatti gli comunica di essere il fortunato vincitore del jackpot di una lotteria pari a un milione di dollari.
Per reclamare i suoi soldi, il vecchio insiste nel volersi recare immediatamente presso gli uffici della società che gestisce la lotteria, in Nebraska. Un viaggio di 1.200 chilometri che comunque sarebbe difficile da sostenere viste le condizioni mentali e fisiche dell’ anziano, alcolista per nulla pentito e sull’ orlo dell’ Alzheimer. Preoccupato per lo stato del padre, tocca al figlio David, riluttante e perplesso, accompagnarlo…

Qualche settimana fa, in un' intervista a seguito dell' uscita di Blue Jasmine, a Woody Allen venne chiesto per quale regista avrebbe lavorato volentieri come attore. La risposta di Woody fu, insieme a Scorsese e ad Oliver Stone, Alexander Payne. Visto Nebraska, in sala dal 16 gennaio dopo essere passato con successo al Festival di Cannes (all' attore protagonista Bruce Dern è andata la Palma d' oro) ed essere stato snobbato alla consegna dei Golden Globe, qualche dubbio potrebbe affiorare sulla compatibilità artistica dei due registi in un progetto comune. E' vero che sia Nebraska che Blue Jasmine, da punti di vista e di stile completamente differenti e con risultati opposti, sostanzialmente finiscono per raccontare il disfacimento e le conseguenze di quello che era l' american way of life per come ci è stato ammannito per anni, ma dalla parte di Allen vi è il rigore di una scrittura che poco concede alla leggerezza e quindi nulla al tentativo di giocare “facile” sui sentimenti dello spettatore, mentre nella sceneggiatura di Bob Nelson per il film di Payne il ricatto morale della commozione “a tutti i costi” affiora più volte. La sensazione a fine proiezione, infatti, è quella di aver assistito al classico film “perfettino” ed anche un bel po' ruffiano, adatto a quel pubblico che in uscita sala – dopo magari essersi anche un po' annoiato durante la proiezione – è pronto ad esclamare “Bellissimo !”, blandito da una storia che in realtà non riserva alcuna sorpresa né sulla psicologia né sulla sorte dei personaggi, ma in cui nulla è lasciato al caso nel tentativo di “agganciare” lo spettatore. E quindi colonna sonora molto Americana con brani e chitarre piazzati a dovere per sottolineare quelli che dovrebbero essere i momenti più emotivamente forti, prevedibilmente bella la fotografia in bianco e nero - ritoccata però in digitale per donare alla pellicola quella “grana” che fa tanto cinema anni '70 -, campi lunghi, lunghissimi - e soprattutto già visti - su paesaggi desolati e cittadine quasi fantasma nelle quali si aggirano personaggi che avrebbero la tentazione di essere coeniani ma che la scrittura appiattisce notevolmente, togliendo loro qualsiasi ambiguità (vedi i nipoti obesi e l' intero “parco” parenti del protagonista in quella che comunque è una delle migliori sequenze del film, raggelante e fin troppo verosimile nella sua iper–realtà).

 A voler ben vedere, l’ ambiguità più grossa è proprio quella che sostiene la trama della pellicola: tra tutti i valori tramandabili ai figli, il protagonista sceglie di fare un viaggio impossibile per lasciar loro, in memoriam, non particolari princìpi fondamentali che si sarebbero sperati acquisiti con la saggezza della vecchiaia, bensì “solo” un milione di dollari. Ora, che siano i soldi a far girare il mondo è la scoperta dell’ acqua calda, anche in Blue Jasmine, e non è la prima volta, Woody Allen sostituisce completamente Dio e la sua assenza con il “dio” denaro (in molti film di Allen – vedere il fondamentale Crimini e Misfatti fra i tanti – è il dubbio e la perdita di fede a generare le svariate conseguenze sui protagonisti, in Blue Jasmine è la perdita del suddetto "dio" denaro e dello status sociale ad esso legato a far precipitare nella disperazione Cate Blanchett), ma una semplificazione così forte, in Nebraska, alla fine suona un poco fastidiosa benchè il “ragionamento” risulti perfettamente in contesto col personaggio fallito e superficiale di Bruce Dern.
In definitiva, Nebraska è l’ ennesimo film, senza troppe variazioni sul tema né sussulti artistici particolarmente originali, sull’ identità perduta degli Stati Uniti e su quanto ormai questi non siano più (o non siano mai stati) un paese per vecchi, ma anche qui la pellicola arriva quasi con l’ ultimo treno: David Lynch – ancor prima dei Coen ma soprattutto di Payne - già ce lo aveva detto chiaramente quindici anni fa in quello splendido, sottovalutato e troppo presto dimenticato road movie che era Una Storia Vera.

Alla fine la parte del leone, manco a dirlo, la fanno proprio i grandi “ vecchi” Dern e Stacy Keach, memorie viventi di un cinema che negli anni ‘70 veramente graffiava e lasciava segni del proprio passaggio, i quali però finiscono per essere gli unici motivi di attrazione in una pellicola che fa del rassicurante “già visto” il passaporto per qualche fin troppo prevedibile e calcolata candidatura agli Oscar.